10.06.2010

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7 commenti:

GM ha detto...

cioè tu sei d'accordo sul fatto che la religione si fonda sulla paura?

pap ha detto...

non so se è uesto che intendesse Altan.
Mi ha colpito per assonanza con un mio percorso interiore in questo momento.

E comunque sì: in parte credo che la paura abbia il suo contributo nell'esperienza religiosa (che può essere cosa diversa dall'esperienza di fede).

La paura crea la necessità del controllo, e devi avere un interlocutore su cui avere potenzialmente una qualche influenza anche in quelle cose della vita che sono fuori dal nostro controllo.

GM ha detto...

Conoscendo altan, mi pare fosse quello il senso. del resto il "per avere paura" lo fa dire a un prete.
Poi la tua osservazione mi pare interessante.

cioè la religione come un tentativo di controllare e dare un senso alla incontrollaiblità e inconoscibilità delle cose.

dunque, aggiungo io, non la ricerca di farcela con le proprie forze a indirizzare la realtà, rendendola migliore - o meno peggiore per noi -, ma l'appoggiarsi emotivamente, prima che razionalmente, a ciò che è superiore e che può farlo al posto nostro.

In questo io ci vedo la regressione, cioè il riportarsi, anche inconsciamente, a uno stato infantile in cui la possibilità di farcela dipende unicamente dall'altro più grande che provvede a noi (il genitore ) e non certo dalla proprie forze, che in quel momento sono effettivamente insufficienti e inadeguate.

pap ha detto...

veloci note:
non puoi negare che ci sono cose che sfuggono al nostro controllo e che, per quanto ce la mettiamo, sono fuori dal nostro potere.

sì: nella religione può esserci regressione. Non a caso (ad esempio) nella religione cattolica si parla di un Dio padre.

appena posso approfondisco

GM ha detto...

Infatti, molte cose sfuggono al controllo.

Molte di più sfuggivano al nostro controllo quando eravamo nelle caverne, cioè nell'era infantile della nostra civiltà.

Ciò che nel tempo ha fatto la differenza, aumentando il controllo degil uomini sulle cose, non è stata la religione ma il progresso, la scienza, la tecnica, l'associarsi degli uomini, il creare civiltà.

Ovvero quando l'uomo ha aiutato se stesso. Il "relegare" cioè la religione, il demandare ad altro la soluzione dei problemi non li risolve.

Infatti nessuno può dire che la mancanza di controllo sulle cose, viene risolta dal demandare il potere sulle cose ad un"autorità" superiore immaginaria.

La mancanza di controllo resta, ma ci allontaniamo mentalmente dalle uniche cose che possono forse migliorare la situazione: le nostre mani, la nostra mente, la collaborazione fra gli uomini.

ClaudioLXXXI ha detto...

Mi sembra un'interpretazione semplicistica del concetto di religione, non foss'altro perchè storicamente la religione è il mezzo primario per dare ai popoli un'etica condivisa, da qui una civiltà.
Che poi, in questa prospettiva, il cristianesimo NON sia una religione, è altra faccenda.

By the way, la paura non è una virtù teologale del cristianesimo, la speranza sì.

GM ha detto...

E' sicuramente semplicistica :), non avevo pretesa di riuscire a intepretare il senso di una cosa importante come religione in poche parole, e non penso comunque idi essere in grado di farlo neanche con molte.

però rispetto a quanto scrivi ora mi pare negare il concetto di religione il fatto di dargli un'utilità sociale. E' vero cioè che la religione è stata utilizzata per dare regole alle comunità (regole diverse di comunità in comunità, di religione in religione, di epoca in epoca), e in questo senso contribuire a creare civiltà.

Ma era l'esigenza umana di creare regole forti e rispettate che ne affidava il senso anche alla religione ("e' dio che lo vuole"), non è il credere in dio che portava le regole.
Un pò come gli imperatori che cercavano l'approvazione papale: se dio approva il mio potere , il mio potere è più forte agli occhi del mio popolo.

In verità in tempi più recenti, perlomeno, in occidente, la separazione tra peccato e illecito, cioè tra la norma religiosa e quella di diritto dello stato, è stato uno dei momenti fondativi della nostra civiltà.

Cioè quel momento in cui si è compreso che un certo comportamento degli individui andava proibito non perchè dio fosse contario, ma perchè lesivo degli interessi della collettività.
qui, a mio modo di vedere, il passaggio dal fantastico e dall'irreale, alla realtà concreta e ai suoi bisogni.